La sopraffazione islamica delle donne e delle bambine a Monfalcone: una barbarie da rimuovere

La sopraffazione islamica delle donne e delle bambine a Monfalcone: una barbarie da rimuovere

In un’ampia relazione presentata nel Consiglio comunale di questa mattina, il sindaco di Monfalcone, Anna Maria Cisint, ha affrontato uno dei nodi più spinosi del processo di islamizzazione: quello relativo alla condizione delle donne e delle minorenni, esplicando le azioni che il Comune sta portando avanti su questo tema.

“Il nodo di fondo è rappresentato dalla mancata sottoscrizione da parte delle comunità musulmane dell’intesa prevista dall’articolo 8 della Costituzione, che avrebbe comportato l’accettazione dei nostri valori e principi, mentre si continuano a seguire le regole coraniche in contrasto con i nostri ordinamenti, come la poligamia e la condizione patriarcale di sottomissione delle donne, segregate in casa ed escluse dal lavoro e da ogni diritto sull’educazione dei figli. La loro emancipazione dovrebbe dunque passare da un processo di integrazione che significhi l’accettazione da parte di chi arriva nel nostro Paese dalle norme che regolano la nostra società. La questione non si risolve con alcune progettualità sulle pari opportunità rivolte a poche persone interessate, perché prevale il processo di islamizzazione che impone la propria visione in base alla quale alle donne non sono consentiti gli stessi diritti e potestà degli uomini in tutti gli aspetti della vita civile e familiare. Di fronte ai gravi episodi di sopraffazione verso le donne e le minori, la Sinistra non assume mai una posizione di difesa dei diritti umani e si colloca sempre dalla parte sbagliata. Ci sono aspetti di fondo, come la conoscenza linguistica, la reclusione in casa senza possibilità di realizzarsi - anche economicamente - nel lavoro, la copertura integrale del volto come segno di sottomissione, oppure ciò che avviene negli ospedali, con le musulmane che rifiutano di farsi visitare dei medici maschi, o nelle scuole con le madri che se vengono chiamate dagli insegnanti per un problema del figlio, non sono in grado di comprendere l’italiano e devono rivolgersi il marito per ogni decisione; tutti fattori che dimostrano le gravi conseguenze sociali di queste discriminazioni. Come Comune, stiamo ancora aspettando che i rappresentanti delle comunità musulmane sottoscrivano il Decalogo che abbiamo proposto a tutte le comunità straniere, che crea le premesse e le condizioni proprio per avviare progettualità effettive di integrazione, ma mai ratificato dalle comunità musulmane. Questa Amministrazione ha investito sul tema dell’emancipazione femminile notevoli risorse, sia proprie che derivanti da specifici finanziamenti regionali, in particolare per analizzare la condizione delle donne delle comunità straniere insediate in città ed individuare le possibili soluzioni all’effettiva situazione delle stesse, cercando di fare breccia con ogni strumento all’interno di comunità peraltro molto chiuse e difficilmente coinvolgibili. Sono stati anche attuati progetti di promozione dell’imprenditoria femminile e tirocini presso i Servizi dell’ente. Ma nel caso delle donne straniere, ogni progettualità si infrange di fronte allo stato di schiavismo femminile dell’ideologia islamica, ancor più inaccettabile quando a farne le spese sono le bambine, come quelle che sono seguite dai servizi sociali del Comune che hanno subito stupri, violenze e sopraffazioni e che, ancora tredicenni, vengono obbligate a matrimoni forzati e rimandate in patria”.

 

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